Servo di Dio Felice Tantardini

Introbio, 28 giugno 1898 - Taunggyi, Myanmar, 23 marzo 1991

Felice di nome e di fatto, si autodefinisce “il fabbro di Dio”, ma chissà l’effetto che gli fa oggi sentirsi chiamare “il santo con il martello”. Nasce nel 1898 a Introbio, in Valsassina (Lecco), sesto di otto figli e mamma, a corto di nomi, ascolta il parere della levatrice, che le suggerisce di chiamarlo Felice: un nome che   width=  a lui piacerà sempre, perché “esprime l'ideale della mia vita: sforzarmi di essere felice, sempre e ad ogni costo, ed essere intento a far felici gli altri". Dopo la terza elementare, a 10 anni comincia a lavorare come fabbro, a 13 è orfano di padre, a 17 è dipendente all’Ansaldo di Genova, proprio mentre l’Italia entra in guerra.  Dopo la disfatta di Caporetto è arruolato e, dopo un paio di mesi di addestramento, mandato in prima linea, a far da “esca ai tedeschi per attirarli sotto il fuoco delle nostre artiglierie”. Ci resta appena un paio di giorni, perché è subito fatto prigioniero e passa così da un campo di lavoro all’altro, da Udine a Gorizia a Belgrado, dove si muore anche di fame. Quando proprio non ne può più, con altri quattro progetta l’evasione, strisciando come un topo di fogna in un canale di scolo e raggiungendo con un viaggio avventuroso la Grecia e di qui l’Italia. Dove, alla fine del servizio militare, lo attende in modo inaspettato la vocazione, maturata sulle riviste missionarie, che la sorella più piccola ha messo da parte proprio per lui.

A 23 anni entra nel Pime e dieci mesi dopo, il 2 settembre 1922, parte per la Birmania. Vi resterà ininterrottamente per 69 anni, con un solo rientro di pochi mesi in Italia, nel 1956, giusto il tempo per una revisione generale della sua salute e per tentare inutilmente di “mettere su un po' di carne sulle ossa, ormai spolpate”.

È stazionato alla missione di Toungoo, ma in effetti si sposta di missione in missione, ovunque lo mandano a chiamare, perché i Padri hanno dimora fissa, un campo di lavoro determinato, mentre lui abita dove c’è lavoro, non ha un focolare proprio, cambia casa, letto, cucina. Soprattutto non cambia l’incudine ed il martello perché, prima di tutto, lui si sente fabbro, con una eccezionale forza nei muscoli, tanto da piegare le sbarre di ferro con le sole braccia, sempre intento a forgiare, battere, segare, limare putrelle o aste di ferro, per farne capriate, cancelli, letti o blocchiere. Così facendo costruisce  chiese, scuole, case parrocchiali, ospedali, seminari, orfanotrofi, conventi, ponti: sempre con il sorriso, perché Felice è davvero… felice di contribuire con il suo lavoro all’annuncio del Vangelo.

Ha una fiducia illimitata nella “cara Madonna”, con la quale si intrattiene ogni giorno con la recita dei suoi consueti tre rosari mentre gli altri fano il pisolino. Piccolo di statura, un po’ curvo, dal fisico asciutto e dai capelli arruffati, “esteticamente non è un bell’uomo”, lo descrive padre Clemente Vismara (oggi beato), che svela anche il suo difetto: “Il debole di Fratel Felice è la pipa; tranne il tempo della preghiera ed il tempo che mastica cibo, la pipa è sempre in bocca”. Se gli dicono “Felice, tu non potrai essere canonizzato, proprio a causa di questo attaccamento alla pipa", invariabilmente risponde: "Tanto meglio!”.

A 85 anni lo mandano in “pensione”, nel senso che gli impediscono di lavorare il ferro e gli comandano di pregare. Ubbidisce, come sempre, con un unico rimpianto: dalle sue mani spariscono i calli e gli spiace parecchio non potersi presentare più come “fabbro di Dio” al rendiconto finale. A 93 anni, fratel Felice si presenterà davanti Dio e subito si parlerà della sua beatificazione. ____________________________________________________________

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Martirio in Cina di Giancarlo Politi con la collaborazione di Angelo S. Lazzarotto Pimedit, Milano 2016 - pagine 128 - € 9,50

Con questa semplice pubblicazione viene rievocata l'esperienza di sei missionari del Pontificio Istituto Missioni Estere, uccisi a metà del secolo scorso, mentre annunciavano la parola del Vangelo al popolo di Cina. Sono pagine disadorne che, nel complesso contesto culturale e politico di quel lontano Paese, parlano di quotidiane esperienze intrise anche di emergenze e di crisi. Si rimane stupiti della ricchezza interiore che traspira da queste "persone normali", facendone testimoni credibili dello stesso Maestro e Signore.

Giancarlo Politi, missionario del PIME, ha vissuto 23 anni a Hong Kong ed è uno dei più grandi conoscitori del cristianesimo in Cina oltre che di cultura e lingua cinese. Dopo 8 anni come direttore della rivista "Mondo e Missione" e del Centro di cultura e animazione missionaria PIME di Milano, nel 2001 viene incaricato di seguire la Cina presso la Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli. Quindi si trasferisce nel Seminario teologico internazionale PIME di Monza come direttore spirituale. Nel 2016, ha celebrato i cinquant'anni di sacerdozio. È autore del libro Martiri in Cina. Noi non possiamo tacere (EMI).

Angelo S. Lazzarotto, missionario del PIME, ha lavorato a Hong Kong per una quindicina di anni, in due periodi. Membro per 12 anni della Direzione Generale dell'Istituto, è stato anche Rettore del Collegio Urbano di Propaganda Fide e responsabile della Sezione Asia del Centro unitario missionario della CEI. È autore di numerosi articoli e studi sull'evangelizzazione in Cina. Nel 2015 l'Università Cattolica di Milano gli ha conferito il Premio Matteo Ricci.